Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
Cesare Pavese.
Prendo spunto da una citazione di un commento per iniziare un nuovo post sull’emigrazione.
..C’è qualcosa che aspetta o meglio che resta intatto nella memoria di chi emigra e va oltre i suoi confini geografici. Cesare Pavese, secondo il mio modestissimo parere, centra il concetto di abitare in altri luoghi lontani dalla vita infantile e adolescenziale, trasformando in qualcosa di fisico i ricordi che legano al prima dell’emigrazione.
Nel dopo, ovvero lontani dai siti di origine ci sono i ricordi, ma non si confrontano con la realtà di tutti i giorni. L’integrazione nel contesto in cui si va ad abitare non sempre porta vantaggi, ma per citare Erminio Ferrari giornalista e scrittore, scomparso il 30 ottobre 2020, parlando di Lorenzo Grassi un ragazzo di Falmenta che nel 1912 decise di cercare fortuna in Canada , disse :
“…l’altro prezzo per chi non concorre a questo sistema è la solitudine..”
Sicuramente la distanza che si era creata nel passato nel caso delle grandi emigrazioni creava la “necessità” di assimilarsi al territorio. I mezzi non erano quelli di oggi. Il termine emigrazione, con i mezzi odierni di spostamento , non portano più a questo distacco e il ritorno nei posti del passato riportano si ricordi ma anche consuetudini generando meno distacco.
Non è così ovviamente per chi intraprende viaggi senza ritorno ai quali sembra dovuto una sorta di cancellazione della memoria per dover reimpiantare un nuovo modo di vivere…
“… non siamo mica piantine da trapiantare.. “
Vantaggi…. si non tutto si paga , ma qualcosa si guadagna , anche se con un prezzo, la distanza. La maggior parte degli emigrati trova sempre nuovi stimoli ed esperienze e le porta con se nel ritorno in patria. Un bagaglio culturale e professionale a volte importante.